Nascita di Francesco Petrarca

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Pagina pubblicata in data 20 luglio 2021
Aggiornata il 22 agosto 2022

È il 20 luglio dell'anno 1304. Ad Arezzo nasce Francesco Petrarca, da Eletta Canigiani e da Ser Pietro, detto Petracco, figlio di Ser Parenzo di Garzo.

Il padre era un notaio fiorentino, originario di Incisa Valdarno, apparteneva allo schieramento dei guelfi bianchi, e di conseguenza, nel 1302 fu espulso dalla città.

Nel 1300 per motivi politici ed economici il partito dei guelfi si divise in due fazioni tra loro opposte: i guelfi bianchi capitanati dalla famiglia dei Cerchi e filo popolari e quella dei neri con a capo la famiglia Donati più filo borghese.

Le due fazioni lottarono per l'egemonia politica, e quindi economica, della città. Seppur entrambe le fazioni sostenevano il papato, erano opposte per carattere politico, ideologico ed economico. Bonifacio VIII, il pontefice dell'epoca, dette il proprio sostegno alla fazione dei guelfi neri, i quali, nel 1302, riuscirono ad ottennere il controllo della città.

Petracco, come Dante Alighieri, e molte altre figure di spicco della società fiorentina, fu espulso dalla città e si trasferì ad Arezzo.

Pochi anni dopo, nel 1312, il padre si trasferì ad Avignone. Nel 1309 il papato si era spostato nella città del sud della Francia abbandonando Roma. Presso il papato Petracco esercitò la professione notarile, sistemò la moglie ed i figli nella vicina Carpentras, dove Francesco Petrarca compie i primi studi di grammatica, retorica e dialettica sotto la guida di Convenevole da Prato. Successivamente, nel 1316, fu inviato dal padre a Montpellier per seguire gli studi giuridici.

Sembra che un giorno il padre, come il poeta racconterà molti anni dopo, trovandolo immerso nella lettura di “libri profani”, glieli tolse per gettarli nel fuoco. Il giovane Francesco è un lettore scatenato, un cercatore di libri indomabile, del resto. Si pone, per inclinazione spontanea, come riscopritore della civiltà classica romana, restauratore della testualità effettiva delle opere antiche.

Nel 1320 il padre invia lui ed il fratello Gherardo (nato ad Incisa Valdarno nel 1307) a Bologna per proseguire con gli studi di diritto. Studi che abbandonò definitivamente alla morte del padre che avvenne sei anni più tardi nel 1326.

Nonostante non amasse frequentare la facoltà di diritto, il Petrarca rimase molto affascinato dal vivace ambiente culturale della città.

Con la morte del padre, rientrò con Gherardo ad Avignone, dove visse alcuni anni spensierati, immerso nell'ambiente elegante e cosmopolita della corte pontificia, in cui la cultura della curia si mescolava con le antiche tradizioni provenzali, e si avvaleva del latino come lingua “internazionale”.

È convinto del ripristino della grandezza di Roma antica, attraverso lo studio della cultura classica, attraverso l'esaltazione degli uomini illustri che hanno reso grande Roma.

È in questo momento particolare della sua vita che incontra la sua Laura, destinata a diventare la musa ispiratrice del suo “Canzoniere”, oggetto di un amore profondo e impossibile che, secondo il racconto poetico di Petrarca, cominciò il 6 aprile 1327, quando la donna gli apparve per la prima volta nella chiesa avignonese di Santa Chiara, e lo tenne “anni ventuno ardendo”, non cessando neppure con la morte di lei, avvenuta, con singolare coincidenza, il 6 aprile 1348.

In pochi anni il patrimonio paterno si dissipò, e nel 1330 Francesco Petrarca prese gli ordini minori, che lo obbligavano al celibato ma non implicavano l'esercizio degli ordini sacri.

Nell'autunno del 1337, dopo la nascita del suo primo figlio, Giovanni, si ritirò nella quiete di Valchiusa, sulle rive del fiume Sorgue. Il suo prestigio politico e culturale andava crescendo al punto che nel 1340 gli giunsero due inviti contemporaneamente, uno dall'Università di Parigi e l'altro dal Senato di Roma per l'incoronazione poetica. Nel 1343 nasce la sua seconda figlia, Francesca.

Desideroso di un riconoscimento ufficiale, Petrarca non esitò a scegliere la culla della civiltà latina e fu incoronato d'alloro in Campidoglio l'8 aprile 1341, non senza essere stato prima esaminato a Napoli dal re Roberto II d'Angiò, che ne riconobbe l'alta levatura culturale.

Tra il 1353 ed il 1361 vive a Milano, ospite della potente famiglia Visconti, ritenendo in tal modo di tutelare meglio la propria tranquillità intellettuale e incorrendo nel biasimo - almeno temporaneo - degli amici fiorentini, tra cui Boccaccio. Visto che non correvano all'epoca buoni rapporti tra Firenze e Milano.

Incalzato dalla peste, che lo privò del figlio Giovanni, nel 1361 si spostò a Padova, che lasciò per Venezia l'anno dopo (nel 1362) per lo stesso motivo. La sua vita ridivenne irrequieta, con continui spostamenti tra queste due città e Pavia (presso Galeazzo Visconti).

Nonostante la fuga da Milano, infatti, i rapporti con Galeazzo II Visconti rimasero sempre molto buoni, tanto che trascorse l'estate del 1369 nel castello visconteo di Pavia in occasione di trattative diplomatiche. A Pavia seppellì il piccolo nipote di due anni, figlio della figlia Francesca, nella chiesa di San Zeno e per lui compose un'epigrafe ancor oggi conservata nei Musei Civici.

Nel 1362, quando Petrarca si sposta a Venezia, ritrova il caro amico Donato degli Albanzani. Qui la Repubblica gli concesse in uso Palazzo Molin delle due Torri (sulla Riva degli Schiavoni) in cambio della promessa di donazione, alla morte, della sua biblioteca, che era allora certamente la più grande biblioteca privata d'Europa.

La casa veneziana fu molto amata dal poeta. Vi risiedette stabilmente fino al 1368 (tranne alcuni periodi a Pavia e Padova) e vi ospitò Giovanni Boccaccio e Leonzio Pilato. Durante il soggiorno veneziano, trascorso in compagnia degli amici più intimi, della figlia naturale Francesca (sposatasi nel 1361 con il milanese Francescuolo da Brossano), Petrarca decise di affidare al copista Giovanni Malpaghini la trascrizione in bella copia delle Familiares e del Canzoniere.

Petrarca, dopo alcuni brevi viaggi, accolse l'invito dell'amico ed estimatore Francesco I da Carrara di stabilirsi a Padova nella primavera del 1368. È ancora visibile, in Via Dietro Duomo 26/28 a Padova, la casa canonicale di Francesco Petrarca, che fu assegnata al poeta in seguito al conferimento del canonicato. Il signore di Padova donò poi, nel 1369, una casa situata nella località di Arquà, un tranquillo paese sui colli Euganei, dove poter vivere. Oasi di pace e bellezza, dove trascorse serenamente gli ultimi anni della sua movimentata esistenza, in compagnia della figlia e del genero.

In quegli anni Petrarca si mosse dal padovano soltanto una volta. Quando nell'ottobre del 1373 andò a Venezia in qualità di paciere per il trattato di pace tra la Serenissa e Francesco da Carrara. Il resto del tempo lo dedicò agli studi e alla revisione delle sue opere (prima di tutte il Canzoniere) fino alla morte, che lo colse, settantenne, nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374.

Per volontà testamentaria le spoglie di Petrarca furono sepolte nella chiesa parrocchiale del paese, per poi essere collocate dal genero, nel 1380, in un'arca marmorea accanto alla chiesa.

Il frate dell'Ordine degli Eremitani di sant'Agostino Bonaventura Badoer Peraga fu scelto per tenere l'orazione funebre in occasione dei funerali, che si svolsero il 24 luglio nella chiesa di Santa Maria Assunta alla presenza di Francesco da Carrara e di molte altre personalità laiche ed ecclesiastiche.

Con Francesco Petrarca la lingua detta volgare giunge ad un affinamento limpidissimo. Depura, addolcisce, musicalizza il volgare, lo rende sereno, chiaro, celestiale, leggero, e di stupefacente modernità.

La sua scrittura è concisa, quadrettata, acquarellata, la parola traspare, è leggiadra e nitida, con velature di perpetua malinconia all'ombra della morte, del tempo che corre via, del fare qualcosa che valga, mentre la certezza di una ricompensa nell'aldilà si attenua e la vita nell'aldilà quasi sparisce.

Questo è il punto dolente e decisivo dell'Umanesimo, amare la vita e sapere che la vita muore e non avere più la certezza gioiosa di un rimedio nell'aldilà.

Petrarca si presenta come il precursore e principale esponente di un movimento culturale, che nasce a partire dalla seconda metà del '300 e influenzerà per due secoli la cultura europea: l'Umanesimo.

È alla ricerca di un isolamento dalla frenesia della società in cui vive, ma nello stesso tempo si sente dal punto di vista intellettuale un cittadino del mondo, volontariamente senza patria. Ascolta nel silenzio della sua anima quel dissidio insuperabile tra gli opposti che attraversa la maggior parte della sua opera: tra vita e morte, amore carnale e amore spirituale, desiderio e ragione, distacco dal mondo e gloria terrena, umanesimo e cristianesimo. E lo trasfigura nel più alto lirismo.

Nel sonetto “Solo et pensoso” risalente al 1342, Petrarca è in grado di far apprezzare la bellezza dello stare da soli. Petrarca esprime il desiderio di fuga e di isolamento, ma anche l'ossessione amorosa, che non lo abbandona mai. Un autoritratto poetico che ci fa riflettere sull'importanza della solitudine.

Nonostante abbia utilizzato la lingua latina, la lingua dei grandi personaggi illustri della cultura classica a cui si ispirava, per realizzare la sua opera, è grazie alla sua opera “meno importante” che Petrarca è divenuto uno dei padri della letteratura italiana ed europea.

Petrarca era un umanista “classico”, viveva più con i romani antichi che con i contemporanei, al pari di altri italiani illustri (e non soltanto italiani), si immergeva nell'antica civiltà per averne esempio e per fuggire il presente. Un umanista “classico a tutto tondo”.

Per Petrarca la scrittura volgare doveva essere una scrittura privata e con una circolazione limitata. La letteratura volgare viene vista da Petrarca come un vizio, una passione personale e privata.

Rerum vulgarium fragmenta, cioè frammenti di cose scritte in volgare, come a voler dire: cosette, roba da nulla. Noto al grande pubblico come “Canzoniere” è di fatto una raccolta di sonetti, di canzoni e di altri componimenti che raccontano il lato più intimo della sua anima.

Ma il "Canzoniere" non mette solo in luce il lato più intimo del poeta, ma mostra anche la modernità di un uomo intrappolato in una società medievale che ha anticipato i suoi contemporanei nell'essere già uomo dell'umanesimo.

Dott. Francesco Russo

Articolo tratto dal sito www.brioweb.eu
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